zugabe – lowland (2023, RE_verb)


Continuano a muoversi in territori Post i veronesi zugabe, ribadendo il concetto con questo nuovo lowland (ultimo di quattro EP usciti nel giro di dieci anni): sempre in bilico tra ambient ed il già citato post-rock, con passaggi shoegaze e visioni cinematografiche, questo album finisce per essere un rito di passaggio da un periodo buio, in cui tutto – niente escluso – è stato messo in discussione, ad un nuovo momento, quasi una rinascita.

Lowland si può considerare per l’Italia, ciò che per il Regno Unito è stato “No Feeling Is Final” dei compagni di genere Maybeshewill: in tutti i testi aleggia – forte – il messaggio di non abbandonare, non arrendersi ma lottare anche – o forse, soprattutto – nei momenti più difficili. Gli zugabe lo fanno con la loro solita malinconia, con sguardo trasognato, senza mai alzare la voce, se non tramite gli strumenti a disposizione.

L’iniziale Beyond The Fence riporta alla mente un po’ i Minot, un po’ i From Monument To Masses: il genere citato in apertura d’articolo non è – almeno qui – da intendere solo come sognante e meditativo, ma anche spinto e teso. In un continuo saliscendi di sensazioni e stati d’animo diversi, i quattro musicisti posano davanti ai nostri occhi un film che cambia ambientazioni ad ogni battito di ciglia. Si apre con distorsioni graffianti e si rallenta in elettroniche à la The Singer Is Dead dell’ultimo album, per poi mischiare i diversi elementi rimanendo sempre precisi e concentrati sull’obiettivo.
Viene a galla una veste più slowcore nella successiva No Way Out: strumentale e voce sussurrano il testo crescendo piano piano, seguendo i canoni del genere post senza mai risultare però stereotipati. E ancora nella successiva Zoe l’animo slow, lento, quasi ambient, del gruppo si fa ancora più palpabile: minuti di sonorità liquide passano attraverso la testa di chi ascolta fino ad una degenerazione elettronica, un’onda che ribalta l’ascoltatore, scuotendolo e risvegliandolo.

L’episodio finale, If You Fall, sulle prime sa tanto di Edwood quanto di Yuppie Flu, ma in un attimo tutto cambia e cresce d’intensità: un colpo di rullante – improvviso – apre il brano. Chiudete gli occhi, immaginate il protagonista di un film che dall’alto di una scogliera a picco sul mare si tuffa giù. Quel colpo di rullante è il momento esatto in cui il corpo entra in acqua e l’inquadratura si stravolge totalmente, mutano le tonalità, cambiano i colori. Le distorsioni, l’alzare la voce, offre uno scenario nuovo, perché la vita è così – e anche questo album lo è: un susseguirsi di alti e bassi, indispensabili entrambi per apprezzare tutto fino in fondo.
 

Ascoltando i quattro brani del disco, vi renderete conto che è proprio grazie alle parti più calme e meditative che riuscirete ad apprezzare in pieno gli sviluppi distorti o le evoluzioni elettroniche. Lowland è come un breve sogno ad occhi aperti, un continuo alternarsi di passaggi oscuri e luminosità piacevolmente accecanti, tutto allineato in modo preciso e mai fuori fuoco.

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