Onan – Onan (2023, Soglianois)


Vi è mai capitato di dover scegliere un disco e farlo desiderando semplicemente
che questo vi travolga con una sana e pura valanga di distorsioni? Vi capita mai di voler solo abbandonare i sensi ad un continuo proporsi e riproporsi di graffi distorti? Allora vi dico che gli Onan di Cesena potrebbero fare al caso vostro. Il loro Self-Titled, fuori lo scorso settembre per Soglianois, pesca tanto dalle atmosfere post dei Chesterpolio quanto dal grunge dei Trema pur volendo rimanere fedeli al noise pop dei Cosmetic, nonostante tutto il casino che c’è intorno, perché qui di “pop” non se ne vede affatto.
Tutti progetti, quelli appena citati, nei quali hanno militato i tre esecutori di questo album, di cui si riconoscono – in un modo o nell’altro – gli elementi che hanno contribuito a formarne le sonorità.

Già l’intro è una fedele dichiarazione d’intenti: dal primo secondo dell’album capirete in maniera piuttosto chiara che di lì a poco vi si pareranno davanti feedback, distorsioni, volumi incredibili e una cattiveria vocale che vi stupirà. Perché fondamentalmente il disco è questo, e la successiva Cathedrals lo mette in chiaro: distorsioni disastrate e una voce che – più di essere una “semplice” voce – è l’ennesimo strumento distorto nelle mani del power trio. Sono passati poco più di due minuti ed è già tutto evidente.
Sling/Knife rimane in bilico tra il già citato grunge, sporcandolo di atmosfere post e dettagli noise rock: lo strumentale si fa man mano più distorto e cattivo, nonostante i momenti in cui si ferma a riflettere in maniera meno rumorosa, e riesce ad infettare anche la successiva Wail. Episodio strumentale in cui ancora si alternano distorsioni e respiri post, spazzati entrambi via da un finale come una fortissima tempesta. Una folata di vento che porta elementi nuovi all’orecchio di chi ascolta: in Nothing affiora un’anima punk, in un episodio breve ma intenso, fatto di spigoli ruvidi e urla, che dall’inglese salta all’italiano della successiva Universe finendo per deflagrare completamente. Qui tutto va in pezzi in sessantadue secondi netti tra riff noise rock che si appesantiscono in salsa doom mentre poche parole – poche, ma ben calibrate – stordiscono chi si ritrova al centro di questa esplosione.
Le sonorità liquide di outro dovrebbero concludere, ma non ci riescono. E, per questo motivo, lasciano spazio alla conclusiva Hsbd Irit che, tra immaginari shoegaze e movimenti post, scivola più volte in vere e proprie tempeste rumorose. Sonorità che – e questo mi sembra più che chiaro – il trio non evita di inserire nemmeno nei momenti che possono sembrare più calmi e meditativi.

Dura solo ventidue minuti, ma sono ventidue minuti di graffi continui alle orecchie. E a volte – lo si diceva già in apertura di articolo – davvero non si può chiedere di meglio.

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Etichetta: Soglianois


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