Vonneumann – JOHNNIAC (2023, Ammiratore Omonimo Records)


E come li vuoi definire i Vonneumann se non un pezzo di storia della musica storta italiana? Un gruppo che in tutta la sua vita, una vita che inizia nel 1999 (o meglio, nel 1998 con Riferimenti, Imperfezione.” degli Arborio, che erano sempre loro tre, ma con un nome diverso), ha attraversato atmosfere, influenze ed epoche diverse tra loro. Uno di quei gruppi che prende e suona, suona e basta, che non si fa problemi di nessun tipo: gli passa un’idea per la testa? La afferra al volo, la elabora, la stravolge, la distrugge e la ricostruisce per usarla magari per un solo secondo, fregandosene di quanto quell’idea sia lontana da quello che il gruppo sta facendo in quel momento preciso.

L’ultima fatica del trio romano, intitolata “JOHNNIAC“, proprio come il computer di oltre due tonnellate costruito negli anni cinquanta e dedicato al fisico e matematico John Von Neumann, suona pesante ma ragionata, storta ma ben calcolata. Si abbandonano le sovraincisioni del passato a favore di una natura più immediata, istintiva e rabbiosa: già dalle prime note dell’iniziale el Carinebo si cede a terremoti totalisti boicottati da inciampi nerd, degenerazioni sospese tra no-wave e mischioni free-rap e batterie incasinate che aggrovigliano tutto in un labirinto di sonorità piene di fascino.
Gli arrangiamenti che avanzano diventano pesanti come il computer di cui parlavo poco fa: tonnellate di dettagli elettronici e corde graffiate camminano di pari passo, con le batterie che incorniciano tutto perfettamente, senza che uno sovrasti l’altro. Tutti gli elementi in oblivioli diventano un’unica superficie dissestata su cui marcia un’orda di robot drogati di caoticità: synth pulsanti, chitarre da spy-stories, distorsioni da Chicago anni ’90, computer che impazziscono in preda a convulsioni da schermata blu. Vi avevo avvertito: tutto quello che passa per la mente dei tre musicisti non resta inusato, anzi.
Zinci Theme sa di colonna sonora con le sue pulsazioni post e le sue ripetizioni quasi lounge: un ascensore intento a scalare metri e metri di loops e rumori, in attesa di un nuovo piano. Quando le porte si apriranno, asciugaDramm sarà lì ad attenderci: una miriade di computer in errore cullati da un groove trascinante, tra chitarre acide al limite del rumorismo, percussionismi quasi-tribali, inceppi e glitch. Un brano affascinante come una palla da discoteca montata tra circuiti e processori. Sonorità che avrei voluto ascoltare giocando ai videogiochi della mia infanzia.

Fußecurity è per me l’esaltazione della bellezza storta che la band ci propone in questo disco: elettrico ed elettronico si mischiano in un caos mai fuori controllo ma perennemente in bilico. Un frullato di tecnologia distrutta che degenera sempre più col passare dei secondi.

Il Daughter Brother ci offre un’ultima scossa distorta, pescando a piene mani tanto dal noise rock americano quanto da alcune stortezze math giapponesi (in alcuni punti si sentono toe, LITE e FNCTR) senza disprezzare un finale che sembra un tornado post intento ad abbattersi su una sala in cui si balla il flamenco.

Insomma, non vi nascondo che per me “JOHNNIAC” è una vera e propria chicca del 2023. Un album – e un gruppo – che non sfigurerebbe accanto a The Horse Lords o i meno (sfortunatamente) conosciuti Gastric Band.
L’uscita di questo disco è di sicuro un buon promemoria e un invito a recuperarvi i loro lavori, presenti e passati, dalla loro pagina bandcamp.

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Etichetta: Ammiratore Omonimo Records


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