Prima di cominciare a parlare del disco in sé e di tutti gli altri dettagli che ruotano attorno a questo Sedimentale, prima uscita a nome Dievel (fuori a Dicembre 2023 per The Fucking Clinica, Shove e Overdrive), vorrei soffermarmi un attimo sulla copertina. Una copertina che per gran parte è oscurità e che schiaccia tutto sotto un non-luogo, un paesaggio che quasi non si distingue, in cui non ci si riconosce e da cui si può, certo, tentare di fuggire, ma per andare dove? In un ennesimo non-luogo simile ed ugualmente immobile ed immobilizzante?
Le sonorità “post” (tanto -rock quanto -metal) di questo album, forse proprio per questo motivo, per questo sentirsi imprigionati in un luogo che non ti dà la possibilità di guardare altrove, conservano al proprio interno sempre quel non so che di claustrofobico: tutto è lento e megadistorto, oscuro, come una fitta nube scura che grava sull’umanità. Mantichora e Vipra sono due bestie sonore che scivolano lente, scuotono di distorsioni e possono sembrare ripetitive, ma in realtà nascondono dettagli che si sviluppano sempre di più. Nel loro granitico ripetersi le corde avanzano imperterrite su una batteria minacciosa.
In Weil le sensazioni si alternano, anche se sono tutte tinte di nero: si procede in un saliscendi carico di tensione, tra accenni sussurrati e urla dilanianti, tutto senza mai aprire bocca. La traccia più lenta, più doom che avrete l’occasione di ascoltare fino a questo punto, ma che nelle sue ombre nasconde l’anima della band, tormentata ed oscura, quasi in trappola. Una trappola fin troppo aperta, da cui sembra facile evadere, ma che in realtà è solo circondata da gabbie più grandi.
Decade scivola ancora di più nel doom, in un’ansia ancor più sottolineata dalle linee di violoncello di Daniele Rossi: sempre lenti e pesanti, sempre più schiacciati, ma con la voglia di farsi sentire, di urlare, di lacerare il terreno e far nascere qualcosa di diverso dalle tenebre.
A metà disco, con Alluvionale, la band cambia veste: aggiunge citazioni alle sonorità sludge/doom incontrate finora, lo strumentale si apre di una nuova e strana luce. Nei quasi nove minuti della traccia in questione, tutta una serie di dettagli delle corde arriva a boicottare l’oscurità che finora ha regnato, offrendo qualcosa di nuovo e radioso. Per me, se proprio in questo album dev’esserci un episodio centrale, è senza dubbio questo. È come se, finora la band avesse covato delle radici sottoterra ed ora, in Silt, queste vengono finalmente scagliate verso l’alto, squarciando il buio lanciando Detriti tutt’intorno. Ogni singola nota di questa traccia è una scossa di terremoto che rinnova, ma lascia tutto in frantumi e, alla fine di questa continua distruzione strumentale, ci si ritrova semplicemente a camminare tra ciò che resta.
E ciò che resta, in conclusione, è l’iperattività di Microchimerismo: una traccia che si spinge fino al limite, innescando ed espandendo all’estremo le influenze dei quattro musicisti (e dei loro progetti di provenienza: The Death Of Anna Karina, che io qui sento proprio tanto, ma anche Ornaments, End Of A Season, Dolpo, Amp Rive).
Sedimentale è un’opera monumentale, granitica, che trova la forza di espandersi ed esplorare tutte le direzioni possibili, pur rimanendo ferma immobile sul fondo, nella sua posizione iniziale. Proprio come fa con le influenze che va ad adottare: sporcate da tanti dettagli diversi ma, in conclusione, fedeli ai canoni del genere (più che consigliato se siete fan di Isis, Mastodon e Neurosis).