Turangalila – Lazarus Taxa (2023, Private Room Records)


I Turangalila sono un animale lento, lento e pesante, che ama le contraddizioni. Non deve stupire quindi se il quartetto di Bari alterna – già dai primi secondi di questo “Lazarus Taxa” – un violento magma strumentale su un delicato cantato non-sporco (“Wow! Signal“), offrendo un assoluto e totale contrasto tra gli elementi fondanti delle proprie sonorità.
Il secondo lavoro della band pugliese, dopo “Cargo Cult” del 2021, è fatto di sabbia e di deserto, ma anche – se non soprattutto – di un groviglio di cose pesanti e travolgenti, di gesti a metà tra una violenza e una carezza.
Lento, dicevo prima, perché ci si muove piano facendo affiorare le prime atmosfere post (tanto -rock, quanto -metal), i primi soffi psichedelici, che verranno stravolti – tormentando piacevolmente l’ascoltatore – prima con spigoli desertici ed epifanie percussionistiche (il primo episodio che si farà ricordare: “Neopsy“) e poi con retrogusti math e dettagli art-rock sepolti sotto una montagna di distorsioni (“Ugo”).
Resteranno sempre presenti gli elementi descritti finora, tenendo viva la fiamma del rock progressivo, contaminandolo con dettagli sempre diversi: dalle ripetizioni monumentali di “P38” ai riff pulsanti di “Antonio, Ragazzo Delfino” che fanno da tappeto ad un cantato che inonda senza tregua. Un saliscendi continuo – come già dicevo precedentemente – di calma ed irrequietezza, di graffi e carezze, di vita e di morte.

Ci lasciano un po’ di respiro le atmosfere slow per boccata d’aria psichedelica della coppia “Lazarus Taxa” / “Reverie“: qui ci si abbandona, distesi – ritrovandosi cullati dalle poche note perfettamente allineate – in pensieri lontanissimi. Come in un sogno ad occhi aperti, in cui si visitano paesaggi bucolici dalle tonalità, però, lisergiche.

Pochi minuti di calma interrotti da “A Pilot With No Eyes” che risveglia l’ascoltatore, innervosendosi piano piano, facendo da miccia alla successiva “To The Boy Who Sought Freedom, Goodbye” che con il suo basso granitico ci riporta forzatamente alla veglia e alla realtà: qui ci si incendia per l’ultima volta, consumando tutto il fuoco che cova al suo interno il gruppo, tra doom e psichedelia pesante, hardcore e noise rock, tra alti tormentati e bassi da incubo, tutto si spegne lentamente, concludendo in “Jisei“, ultima traccia tipicamente post, che sa tanto di titoli di coda, di chiusura di sipario.

Il disco finisce per essere la colonna sonora perfetta per un viaggio, da fare tanto con i piedi che con la testa.

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Etichetta: Private Room Records



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