Duocane – Ramen (2024, Autoproduzione)


Vecchia conoscenza di queste pagine, i Duocane (incontrati con “Sudditi” nel 2020) si ripresentano con un fumante piatto di rAmen, seconda prova lunga dopo Teppisti In Azione Nella Notte (fuori nel 2022). Sempre armato di basso e batteria, di voci urlate, di voglia di fare casino commentando la realtà che li circonda e aiutati da un esercito di musicisti amici, il duo pugliese mina i confini tra un genere e l’altro e, fondamentalmente, fa tutto quello che gli passa per la testa.

Le corde si infiammano, intrecciano e incazzano: Poi Si Pensa apre le danze commentando una società troppo impegnata a procrastinare, tra riff hardcore e urla rigorosamente in italiano. Perché per il duo è inutile rifugiarsi in una lingua che non gli appartiene, i concetti devono essere chiari, schietti e diretti, proprio come la musica propone.
rAmen è come un tuffo in una ciotola di brodo bollente. Volutamente punk pop, perfetto per essere un singolone radiofonico, suona come i Ramones e i PAY che se le suonano a vicenda tra i tavoli di un ristorante asiatico. La linearità dei primi, la poca voglia di prendersi sul serio dei secondi.
Nella proposta del gruppo c’è tutto un sottofondo di citazioni e rimandi che vanno dal folk di De Andrè (il cantato di D.o.c., per esempio) al prog: tanti elementi che ti aspettano dietro gli angoli pronti a lasciarti a volte sorpreso, a volte sconvolto, a volte totalmente tramortito.
Citazioni, dicevo, ma anche tributi, alcuni da scovare, altri chiaramente dichiarati: Bloodstains (cover degli Agent Orange) rende omaggio e fa divertire chi suona e chi ascolta. C’è tanta voglia di suonare e basta, senza tante perdite di tempo.
Rosiko! passa da lentezze stoner/doom a intrecci e sviluppi progressive fino ad assestarsi, alzando voci e volumi, nella forma che i Duocane hanno reso sempre più personale e sentita col passare delle uscite: continuamente sospesi tra distorto ed orecchiabile, con un bagaglio musicale che può inglobare, senza problemi, sonorità apparentemente lontanissime tra loro. Non solo sonorità, ma anche esperienze personali: dai viaggi (i pochi secondi di Taky Ongoy ci portano sulle Ande) alle persone incontrate nel corso di una vita attenta ai dettagli (Costantino abbassa i toni per raccontare meglio il paese e gli abitanti, come fanno spesso i Maisie).
Giulio, Vergognati! è un breve incubo ripetitivo, per stoner martellante e rumorismo angosciante: manco tre minuti, come un frullatore in cui riversare tutto ciò che passa per la mente di chi si trova dietro gli strumenti.
Nel corpo del cane a due teste convivono tantissime anime, tutte diverse, tutte ugualmente graffianti e rumorose: la voce, quando è più calma, sembra ricordare un certo Daniele Silvestri (quello più libero, del periodo “Il Dado”, per esempio) ma quando lo strumentale comincia a innervosirsi, si trasforma in tutt’altro. Progressivo e psichedelico si alternano all’alt-rock e poi da capo, e di nuovo, ancora e ancora. Psichedelie che nel finale sconfinano in La Luna Giù Per Il Camino condita da poche note volatili, disperse nell’aria come ultima boccata d’ossigeno.

rAmen richiede un’attenzione particolare all’ascolto, perché quello che ad una prima impressione può sembrare un disco leggero, in realtà è uno scrigno pieno di sorprese e di sonorità tutte diverse ma tutte ugualmente funzionanti.

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