La Migliore Delle Feste prevede un buffet a base di acido e urla, bagnato da calici di graffi strumentali. Perché agli Isa Roseid, prima di tutto, interessa ricoprire l’ascoltatore di sano odio distorto: quindi, se cercate questo, rimarrete decisamente soddisfatti.
Un basso, una batteria e una voce: al trio di Jesi non serve altro per mettere in atto l’assalto sonico che ha in mente. Una miscela distruttiva di noise rock e post-hardcore; una voce che salta dallo screamo al punk più sporco.
Un manifesto personale e sentito contro il consumismo, contro la perdita dei valori e contro l’omologazione forzata dettata dalla banalità dei media.
Aprendo il disco, l’occhio cade dritto sulla scritta “Odiate i padroni, sempre“: e il gruppo odia. Lo fa attuando una protesta rumorosa fatta di liriche che squarciano le corde vocali e strumentali che bruciano i timpani (Falce e Bordello) di quanti più ascoltatori possibili. Quelli abituati a questo tipo di sonorità, certo, ma anche – se non soprattutto – quelli con l’orecchio poco allenato.
Inizi psych/post che procedono lenti fino all’esplosione: in Delle Ripe il gruppo dimostra che quando si incazza, lo fa in maniera coesa, tutti insieme violentemente. Ogni affermazione è un pugno in pieno petto, ogni nota del basso è un graffio sulla pelle, ogni pestata di batteria è una martellata alle tempie. Le frasi che compongono i vari brani suonano come slogan, come manifesti incollati lì da una vita che in meno di niente diventano convinzioni e verità. La Gioventù Attacca passando dall’alternative al noise punk più convincente. L’Intermezzo lascia un po’ di respiro allo strumentale e ci si trova a vagare in un episodio psichedelico, ma C. Stantana In The Octopus’ Den distrugge tutto a basi di colpi ferocissimi di noisecore. Pochi secondi, ma tutti da ricordare, tra noise, hardcore e screamo. Come detto prima, alla band non serve altro per risultare validi.
Ronde trasuda di sguardi disprezzanti verso un’umanità che piano piano perde personalità e diventa tutta uguale, semplici “orde di polo e pantaloncini stretti“. Nemmeno la successiva Food Coma ha paura di accelerare, di alzare la voce. Non c’è modo migliore per combattere tutto quello che vedi e che proprio non ti va giù. Tutta la rabbia degenera nel minuto che chiude la traccia: una esplosione deflagrante di urla e distorsioni enormi.
Tutti i brani di questo disco sono in continua salita: calmi agli inizi, ma che non perdono occasione per esplodere nel finale tra distorsioni giganti e rabbia incontenibile (proprio come la finale Il Diario).
Un disco da non sottovalutare ma che – almeno per l’idea che mi sono fatto ascoltandolo – sono sicuro funzioni molto meglio dal vivo, con il gruppo libero di rilasciare l’energia, la rabbia, la forza che questo lavoro porta dentro di sé.