Cosa succede quando il bassista di uno dei migliori gruppi math mai usciti in Italia (i Cardosanto) incontra il bassista di un gruppo punk/post-hardcore (Gli Altri) e decidono di unire le forze, coinvolgendo il batterista del progetto post-rock La Fine Di Settembre? Si finisce per ritrovarsi davanti ad un lavoro strumentale carico tanto degli elementi citati in precedenza quanto della voglia di sconfinare in altri generi ed influenze, ecco cosa succede.
Tre musicisti che si incontrano e che – insieme – in attesa del quarto elemento, il sassofonista fantasma Jan Godot, che prima o poi arriverà, danno vita a questo This Is Fufaz Quartet (che nei primi mesi del 2022 vedrà la luce in CD per l’etichetta genovese Taxi Driver) disponibile in digitale sul bandcamp della Burning Bungalow di Savona.
Il disco muove i primi passi in Ucronia + Fried Eel Technology Impro, sette minuti di stortaggini jazz, intrecci che saltano dal math ai graffi pseudo-stoner degli Intimissimo incorporando impazzimenti carnevaleschi in tapping, accelerate punk ed oscurità psicolabili. Ci sono tantissimi elementi che si riconoscono e si collegano, facilmente, a tanti altri progetti: più passano i minuti e più si incontrano influenze diverse, riconoscibili certo, ma riarrangiate in maniera non banale. Puls(à)r è una corsa pulsante di intrecci ipnotici, incroci pericolosissimi che rimandano tanto agli impazzimenti dei R.U.N.I. (o dei Quasiviri, ma quasi-sempre-strumentali e senza interventi elettronici) quanto ai Lightning Bolt meno cervellotici e più spensierati. I suoni saltellano dovunque come palline impazzite in preda a schizofrenici attacchi di panico math. Ci si ritrova davanti ad ondeggiamenti bassi ed intrecciati, come una foglia secca che si stacca dal ramo e – prima di toccare terra – dondola e si agita, prendendosi tutto il tempo di cui ha bisogno (Autunnale). Si incontrano spigoli e scontri matematici, nodi che si sciolgono anche con qualche difficoltà, riff che corrono come dannati e – all’improvviso – frenano di scatto, solo per poi ripartire in maniera ancora più veloce e scomposta (Algoritmi). Chat Palintrope mette in campo un’influenza praticamente inevitabile in un progetto con due bassi: viene fuori, violenta, un’anima funk saltellante, boicottata però da scontri math e ripetizioni ipnotiche. In un attimo si immaginano i due bassisti, uno contro l’altro, in un eterno botta e risposta jazzistico. Le ripetizioni ti lasciano intontito, ma non accennano a concludersi col finire del brano appena citato: si continua a martellare anche nella successiva X-Run. Una corsa sfrenata tra ipnotismi ripetitivi, con gli strumenti che non vedono l’ora di esplodere (la batteria a volte, per esempio, riesce a stento a trattenersi) e che sotterrano una vena punk – che comunque, a volte, riuscirà ad emergere – sotto montagne di spigoli ed intrecci.
Il disco si conclude con una Ghost Track (Lemongrass Frog Technology) che un po’ ricorda le parentesi allucinogene di alcuni Splatterpink, quando si vagava in intrecci psicotici in bassa fedeltà.
È sempre un piacere, non mi stancherò mai di dirlo, quando un gruppo decide di non seguire le mode del momento ma, al contrario, si incammina verso sonorità particolari, anche difficili e di certo non banali. Questo è proprio il caso dei Fufaz Quartet e del loro disco d’esordio: un album da non sottovalutare.