Prendere tutto e partire, anche solo chiudendo gli occhi e lasciando andare l’immaginazione. Immergendosi in immagini sonore così vivide da riuscire a trasportarti a migliaia di chilometri di distanza, via mare o via terra, attraversando deserti che sembrano infiniti, immensi, a perdita d’occhio. Le immagini suggerite da Liminal, secondo lavoro dei Safir Nou (creatura nata dalla mente di Antonio Firinu e messa in atto grazie alla collaborazione di tanti altri musicisti), possono essere lette in questo senso: si può usare l’album (un doppio disco, per dodici tracce e un’ora di durata, diviso tra “Waves” e “Sands“) come tappeto sul quale sdraiarsi e viaggiare, ad occhi chiusi.
Come un’esperienza – un diario, un libro o una raccolta di foto – che pesca tanto dalla world music quanto dal post-rock, ogni pagina sfogliata nasconde una parentesi sonora sempre nuova: l’iniziale Port X, un porto sicuro da cui salpare, mostra subito le molteplici sonorità e le personalità multiple di un progetto che non si accontenta di essere semplicemente Musica, ma che riesce ad andare ben oltre. Acustico ed elettronico si mischiano, virano verso atmosfere post e si sporcano d’elettronica, e col passare dei minuti tutto si fa più teso e nervoso, come se il mare si agitasse sempre più. Liminal Sail è invece fatta di approdi calmi, di vele mosse da folate di vento acustico che si agiteranno ancora di più nella successiva Escape: qui, le ossessioni di una chitarra si sfogano su un jazz/funk teso, facendo nascere un episodio tra il post e alcune atmosfere pulp, che si divincola tra crescendo rumorosi e ritorni alla calma acustica. Una calma che si protrae in Reflections, che è come affacciarsi ad osservare l’acqua che scorre, lasciando la testa libera di viaggiare nei pensieri, accarezzati da un episodio acustico e sognante.
C’è anche il momento – Shine – che precede l’arrivo a casa, a passeggiare tra i vicoli sotto una pioggia leggera, che sa di pizzicati e musica celtica, ancora di prog e world music. E c’è quel vicolo poco prima del ritrovarsi di fronte la propria casa, una visione familiare, uno strumentale che si apre lentamente, come la gioia che pervade l’anima una volta ritornati a casa. Gli archi di Almost Home danno lo stesso effetto di quando spalanchi le finestre per far entrare luce ed aria nelle camere.
Ma per un viaggio in mare che si conclude (Waves, il primo disco) ne comincia uno nuovo (Sands, il secondo): con Desert Walk ci si incammina sulla sabbia, dove un blues desertico ci accompagna tra dune altissime e visioni che si confondono sotto i raggi di un sole accecante, avanzando lentamente. Davanti agli occhi una distesa interminabile di sabbia e afa, le ripetizioni della chitarra di Sahel riecheggiano tutt’intorno mentre dettagli diversi si confondono tra i riflessi del sole cocente. Ci si riposa da qualche parte, un po’ di gente si raccoglie nelle vicinanze, Arenas e la sua spensieratezza danno il via a danze a piedi scalzi, i passanti partecipano, è un momento di convivialità trascinante, anche quando si alza il vento e la sabbia, dal basso, comincia ad innervosirsi. Bruciano gli occhi e i piedi, brucia il deserto e si confondono visioni da lontano in The Way To Lampedusa. Come l’inizio di una tempesta di sabbia che in Sandstorm diventerà sempre più violenta e che porterà ad una nuova fine, ad una nuova conclusione dell’ennesimo viaggio. La porta dell’Hotel Tindouf si chiude alle spalle dell’ascoltatore/viaggiatore, facendolo entrare – a riposare – in camere decorate da quadri prog/fusion fatti di pennellate distorte e nervose.
Più che un semplice album, Liminal riesce ad essere un diario di viaggio molto accurato, pieno di fotografie, di immagini nitide, di persone incontrate (sono tanti i musicisti che hanno abbracciato Antonio in questo progetto), di ricordi e dettagli diversi, come ogni viaggio sa e deve essere. Un viaggio che può anche essere affrontato senza muoversi di un centimetro, che di questi tempi può solo essere un bene.