La forza di dischi che si rifanno al post (che sia -rock o -metal), è risaputo ormai, sta nell’evocare nella mente dell’ascoltatore immagini precise e catapultare quest’ultimo, tempo pochi secondi, in altre dimensioni, in altri luoghi. Capita, quindi, che un disco come “Apart” dei padovani Cornea più di un semplice ascolto finisca per essere un’avventura, un viaggio, da intraprendere restando fermi immobili.
Il disco, nascosto dietro una grafica che è un vero piacere per gli occhi, muove i primi passi, lentamente, in atmosfere post ed ambient che però esplodono, di lì a poco, in distorsioni per quadri dai contorni sfocati. È come rimanere a guardare il cielo così tanto a lungo che gli occhi non reggono più, implorano di chiudersi e riposare, senza però riuscire a smettere di sognare ad occhi aperti. L’altalenare tra alto e basso, tra forte e piano, tra gli EUF e qualcosa dei Zugabe gioca bene le sue carte già nell’iniziale Daydreamer. La successiva Kingdom, prende lo sviluppo distorto dei primi minuti e lo incendia, sviluppando una continua scarica di distorsioni che al già citato post aggiunge un tocco doom, mai fuori luogo. Un incendio che si andrà a spegnere, lentamente, nelle immagini sfocate di Will Your Heart Grow Fonder?. Qui, anche se nei primi minuti sembra essere stato domato pienamente l’incendio vissuto in precedenza, rimangono vivi zampilli distorti che piano piano ritorneranno a divorare il brano, scuotendolo con distorsioni che rimandano ai Maybeshewill meno eclettici, quelli meno elettronici.
Saltwater sposta lo sguardo dell’ascoltatore su d’un letto d’acqua: è come fissare gli occhi su un lago, lasciandosi cullare dallo sciabordìo calmo del liquido che di lì a poco, però, si agiterà in onde altissime, inondando i dintorni, lanciandovi su una barca, nel bel mezzo di un mare agitato. Quando il movimento dell’acqua comincerà a scuotere le vostre ossa, al suono dei primi minuti di Sentinels Of A Northern Sky in cui affiora anche un piano come gocce di pioggia leggera o ancora nella finale Diver, il tutto si tingerà di blu scuro (un po’ come la copertina di “Sans Souci” dei Brontide) e di distorsioni tra doom e post-metal.
È un disco che sa cullare e scuotere, in bilico tra stati d’animo, tra scenari profondamente differenti eppure tutti accomunati da venti distorti in balìa dei quali è un piacere ondeggiare.