Immagina un gruppo di metallari ubriachi di tequila che trasformano party new-wave anni ’80 in una palude abitata da coccodrilli sotto l’effetto di potenti allucinogeni. Spoglia gli invitati alla festa dagli abiti sgargianti, dalle paillettes e dalle parrucche ipercotonate per ricoprirli di distorsioni pesanti e percussioni tribali e, allo stesso tempo, spingerli in preda a sonorità dannatamente groovy.
Danze tribali ma anche pogo violento: il giusto compromesso tra l’headbang selvaggio e l’agitamento scoordinato dei fianchi al suono di “Sabor Latino” dei bolognesi Grufus.
Basterà l’iniziale Trapanus a mettere subito le cose in chiaro: paludi distortissime su percussionismi tribali, dettagli harder mischiati sapientemente ad accelerate trascinanti. Martellare e far muovere fino allo sfinimento, questa è l’idea. Martellare e far muovere, fino a trascinare l’ascoltatore nelle altalenanti dinamiche di Million Mirrors March: alternando gli appesantimenti doom/sludge degli inizi alle varie tempeste distorte che s’incontreranno lungo il cammino. Un esercito in marcia che prima si nasconde e poi attacca furiosamente, poi si concede il giusto riposo, ma solo per colpire nel modo più adatto, nel momento più adatto. Come in Mezcal, dove tra la pioggia acida della batteria e i graffi distorti delle corde, si assestano i colpi migliori dell’intero lavoro. Colpi decisi che spezzano il fiato, ti caricano di tensione e ti fanno vibrare in preda a brividi di piacere che andranno a calmarsi nei pochi minuti, psichedelici ed alienanti, di Freaky Fingers.
Solo un paio di minuti di respiro, prima de Le Vacanze Di Pippo dove l’animo groovy della band si mostra in tutta la sua potenza: si riporta alla mente “Find a Stash and Celebrate the Crash” dei Nonlinear mescolandolo, però, alla violenza distorta dei primi Juggernaut.
Ogni singolo episodio del disco sembra omaggiare il metal più diretto mischiandolo con ciò che in quel momento preciso passa per la mente della band, in una sorta di flusso di coscienza strumentale, dettato più dalla voglia di suonare che non da pippe mentali ed insensati programmi da seguire. In questo senso Oniric(o) si sa spiegare più che bene: tanti movimenti diversi che si fondono insieme in maniera coerente e mai fuori luogo. Cosa che farà – in alcuni punti ancora meglio che in precedenza – anche la successiva Oipolloi tra psicopatìe distorte e batterie da capogiro, svisate in territori post ma, soprattutto, una sequela indomabile di distorsioni tritatimpani che condurranno dritte dritte ad Hulk Hogan. Una corda da ring sulla quale srotolare le ultime follie, tra doom e sludge ma anche stoner e punk, di un disco da ascoltare e consumare a volumi altissimi.
Ottimo colpo per la Grandine Records, piccola realtà da tenere d’occhio e supportare.
Grandissimo! Grazie, una vera chicca sto album
Grandissimo! Grazie, una vera chicca sto album