È un disco fatto di scelte particolari, questo The Flawless Avenger dei Bushi: a partire dalla inusuale accordatura della chitarra passando da ciò che ha ispirato il lavoro, fino ad arrivare al formato in cui il disco in questione è uscito: l’album, infatti, non è solo un semplice elemento da ascoltare, ma è anche – forse, soprattutto? – un volumetto composto da dodici tavole (tante quanti i brani che compongono l’ascolto) ed altrettanti haiku, i minimali testi delle canzoni.
Affrontando l’ascolto dell’album ci si rende conto quasi subito (dopo l’intro, Hagakure, affidato agli archi di Nicola Manzan compagno di band di Alessandro Vagnoni, creatore del progetto di cui stiamo parlando) delle influenze che compongono le sonorità del gruppo: c’è tanto noise rock degli anni novanta; tanto post-hardcore, soprattutto; ma anche una vena pulp/arty che aleggia di brano in brano. Già in Masters Of The Swords [I, 45] e A Man From China [I, 81] si incontrano le voci pulite in totale contrasto con le schizofrenie della chitarra, l’elemento che contraddistingue tutto il disco. Questo contrasto potrebbe far storcere il naso, almeno inizialmente, ma è una situazione che si risolve non appena il sax prenderà piede. Già dalla terza traccia già citata o dalla successiva The Flawless Avenger [II, 52] il sassofono renderà i brani più taglienti, portando il lavoro su binari tra l’arty e il già citato post-hardcore. Nascosti tra gli angoli dello strumentale si possono trovare tanto i Butcher Mind Collapse (anche se lì la componente rumorosa era decisamente maggiore) quanto i più recenti The Blank Canvas.
A questo punto dell’album le sonorità si appesantiscono, le distorsioni sembrano diventare granitiche e decidono di incrociarsi in maniera molto convincente, anche se le voci conservano le decisioni prese in partenza: To Sleep Is The Best Answer [II, 85] fa bene il proprio lavoro, ma la successiva Chiriku [II, 22] funziona decisamente meglio. Un brano breve ma deciso che si fa ricordare, fatto di distorsioni pesanti e fiati spinosi.
Revelation On Top Of A Brick Wall [III, 28] e la successiva To Defeat One’s Allies [VII, 1] straripano in territori post-metal, con l’inizio fuorviante, squarciato poi da riff ed incedere molto vicini all’ambiente metal. Influenze che strisceranno, altalenando, tra corde e sassofono.
Bravery [VII, 40] conserva ancora la vena vicina al metal (la voce degli inizi) ma in pochissimo tempo si trasforma esplodendo in una sorta di brano punk dalle tinte pulp, come una sorta di dance-punk oscura e psicopatica – assolutamente degna di nota. La stessa voglia di trascinare l’ascoltatore in movimenti scoordinati ma convinti delle successive On The Verge Of Happiness [X, 127] e Don’t Stop Where Your Heart Does [XI, 145], in cui tutti gli strumenti (voci incluse) collaborano unitamente per creare interessanti strati di rumore e distorsioni.
È un disco che racconta una storia e che grazie al concept particolare vi dà la possibilità di viverla anche con gli occhi. Storie, filosofie e sensazioni di Vendicatori Impeccabili: dalla nascita alla morte, la fine, che culmina in Late Night Idle Talk, per percussioni ed archi. Un finale affascinante, perfetto per la storia appena raccontata.