Immaginate di essere a spasso per paesi abbandonati, oppure nel bel mezzo di una città desolata. Tutto intorno nient’altro che vuoto e silenzio. Nessun rumore, una miriade di finestre su interni disabitati, solo qualche alito di vento e pochissime voci, indistinguibili e incomprensibili, in lontananza.
Fate partire “Architects Of Armageddon” dei S.I.D. e vi renderete conto che come colonna sonora, a completare un quadro desolante, è praticamente perfetta.
Lentezza e distorsione come unica fede: un incedere doom, atmosfere post e deviazioni – soprattutto della voce – tipicamente metal. Un alternarsi di growl ed urla strazianti. È solo l’iniziale Survival City, e gli elementi – vedrete – sono comuni a tutte le tracce, anche se man mano si scenderà sempre di più negli abissi post. La successiva Decontamination tiene vivo il fuoco doom, tra distorsioni e voci che sono a tutti gli effetti veri e propri terremoti. Come se i palazzi di cui sopra cominciassero d’un tratto a scuotersi pericolosamente.
Con Fall Out Room fanno il suo ingresso in scena gli elementi post di cui parlavo poco fa: negli undici minuti di durata, la voce darà spazio a chitarre e campionamenti tipici del genere, facendo un ottimo lavoro. Ed è da questo punto che l’album assume un altro aspetto, più interessante. Anche la successiva, In Visit Of A Death Place, segue lo stesso percorso del brano appena concluso: tappeti synth-etici si diradano dovunque, su asfalto, pietra e terra con distorsioni che crescono come alberi dai rami già secchi. È qui che, se chiudiamo gli occhi, le ambientazioni di cui parlavo prima si fanno nitidissime e sembra veramente di percorrere strade desolate, tra immagini in bianco e nero e segnali disturbati.
La conclusiva Morning Sun mette definitivamente una pietra sopra la questione di genere: il gruppo sa muoversi in territori post, anche quando alcuni dettagli celati dietro le distorsioni e le voci in apertura sembrano ammiccare a certa psichedelia stoner.
Il doom e i gruppi lenti in generale, non sono proprio la mia tazza di tè, ma devo ammettere che il lavoro dei S.I.D., onesto fino in fondo, è riuscito a fare bene ciò che un disco post deve fare: catapultarti in un’altra dimensione, semplicemente chiudendo gli occhi e lasciandoti trasportare dalla musica.