Nonostante nel nome del gruppo si faccia riferimento ad una tela bianca, il colore che prevale nel disco dei The Blank Canvas è decisamente il nero, l’oscurità, il buio. Vantablack, uscito a Dicembre 2018 per Drown Within Records, è una sequela di nerissime pennellate da cui prenderà vita un quadro scurissimo, fatto di strumentali violenti e cantati graffianti.
Le molteplici anime della band sembrano chiare già dall’iniziale Ten Knives, dove spigolosità distorte e linearità punk convivono in un’oscurità preoccupante e – allo stesso tempo – rassicurante: come se le dieci lame del titolo vorrebbero difenderti e torturarti nello stesso istante. Nella successiva Vantablack uno squadrone di terroristi gabber (che ne so, gli Atari Teenage Riot, per esempio) fa irruzione in un concerto post-hardcore: batterie come martelli pneumatici, synth impazziti, muri altissimi e resistentissimi di distorte distorsioni ed una voce che va avanti, spedita, noncurante degli impazzimenti che la circondano.
Ci sono riff e movimenti delle corde che fanno di tutto per sfondarti la testa ed entrarci dentro a forza: sonorità assolutamente non-catchy che riescono a diventarlo a forza di violenze ripetute e continue: accadrà in Time is a lie dove convivono dettagli post e riff piacioni che strizzano gli occhi alla dance (anche in The Deepest Fault, poco più avanti), il tutto condito con la rabbia tipica del metal più pesante.
Oppure ci sono brani tipicamente post-hardcore, come Obsession is my Passion dove gran parte del lavoro lo fa la voce, coi synth che fanno da corda su cui camminare in equilibrio. Qui, ascoltando bene, si può trovare un po’ di Elettrofandango e un po’ di The Death Of Anna Karina: le stesse influenze, ma trattate in modo diverso.
E poi come già detto c’è la velocità e la rabbia: le due qualità migliori di questo progetto. Dimostrano senza problema alcuno di saper gestire le due cose con tutti i mezzi a loro disposizione, che non sono pochi, come non sono poche affatto le buone idee. Sarà chiaro in Ride The Flow, ma anche nella doppietta finale Cover the Grudge / Black Sun Poetry: animo ed accelerate tipicamente punk, nervosismi hardcore, immediatezza a palate che parte da lontano e ti accompagna fino alla traccia finale, la degna conclusione di un lungo, oscuro ma elettrizzante viaggio.
Un disco degno di nota, consigliato sicuramente, soprattutto se avete bisogno di una montagna di distorsioni impilate in maniera eccellente.