Un disco dedicato all’autunno: più che una semplice stagione, una vera e propria opportunità di rinascita, l’inizio di una nuova vita. Questo è – in breve – il pensiero che si nasconde dietro il concepimento di Autumnalia del quartetto/quintetto bolognese Riah, uscito a Novembre del 2018.
Quasi quaranta minuti in cui si alternano magistralmente atmosfere post (rock e metal, a seconda dei casi) a squarci distorti, violenti e laceranti, che scuotono e distruggono. Già dalla iniziale Melancolia, un vai e vieni continuo di calma (apparente) e violenza (più che concreta) vi si presenterà alle orecchie. Sono solo cinque tracce, per gran parte sopra i sette minuti, ma – fidatevi – non sarà un ascolto né noioso, né pesante, anzi: il gruppo farà del suo meglio, e a mio parere riuscendoci a pieno, per non farvi annoiare, nemmeno per un secondo.
Anche nelle cose più brevi (Dastin, seconda traccia, è l’unico momento, l’unica traccia a non andare oltre i tre minuti) alternano atmosfere post a lancinanti pesantezze hardcore.
Il sogno del buio prima procede cautamente, come un’equilibrista che imbraccia una chitarra e spara distorsioni su distorsioni, in bilico su una linea di basso distorta e poi scivola, vola verso il basso, cade, da altezze notevoli, facendo sì che tutto il panorama di contorno si distorca sempre più velocemente.
La proposta del disco sembra essere quasi sempre la stessa: ma in questo caso ciò non costituisce un problema, poiché non è del tutto vero. Perché in ogni brano, nonostante la composizione simile tra i vari pezzi (inizio lento, sviluppo, parte distorta e da capo, anche più e più volte nello stesso brano), c’è sempre un movimento diverso, un’idea non-sentita-prima, un modo di evolversi sempre nuovo: che sia una distorsione alla Russian Circles, o un finale vagamente space rock (come in Luce, per esempio), l’ascolto non lascia mai a bocca asciutta.
Ed il momento di respiro alla fine della quarta traccia sembra concederti quell’attimo di riposo necessario per affrontare in modo giusto la conclusiva Taedium Imperat: l’episodio più distorto e schizofrenico, tra altalene d’intensità, riff sempre diversi, martellate alle tempie. Una serie veloce di colpi fortissimi che lasciano senza fiato e che assolutamente fanno in modo che il tedio non regni, nemmeno per un nanosecondo.
L’album è un perfetto inno all’autunno, come si diceva in apertura, la stagione più bella dell’anno: colonna sonora perfetta per la propria rinascita, sotto una fitta coperta di nuvole grige. Se poi parliamo di rinascita musicale, il disco in questione è senza dubbio un ottimo punto di partenza.