Ai più attenti alla scena musicale italiana, di sicuro, il nome Juggernaut dirà tanto: soprattutto dopo “TRAMA!” del 2014, lavoro eccellente, che li ha portati ad essere giustamente riconosciuti ed acclamati a livello Europeo. E devo dirvi la verità: la mia paura, appena saputa la notizia dell’imminente uscita di questo Neuroteque, terzo album del quartetto romano, è stata quella di poter ricevere una delusione, considerando il livello altissimo lasciato come eredità dal precedente. E invece, tranquilli, non è stato così. Neuroteque, senza continuare il discorso affrontato nell’altro album (se non in pochi momenti che incontreremo nel corso dell’ascolto), riesce a tenersi in piedi, riesce a stupire, a tramortire, a meravigliare, addirittura.
Siamo di fronte ad un lavoro che sì, ok, in alcuni punti ci mette un po’ a partire: ma lo fa solo per poter sistemare tutto in maniera eccellente. Infatti, Limina – prima traccia – rispetta pienamente gli stilemi del post-rock e del post-metal, ma allo stesso tempo li stravolge e li distrugge. Sa prendersi il tempo per avanzare lentamente, per costruire, passo dopo passo, un crescendo perfetto in ogni minimo particolare. Ma che poi, quando parte, parte sul serio. Come si sentirà in Astor: un brano di corsa, carico di tensione, che si ferma un attimo a riprendere fiato e poi riparte, ancora una volta, tachicardico, sentendo il bisogno di ricominciare a correre, sempre più veloce.
Forse, Ipnonauta è la traccia che più ricorda “TRAMA!”: un brano maestoso che alterna al cinema sci-fi, noir e di spionaggio, i festival metal più sporchi, cattivi e rumorosi. Un vero piacere per le orecchie e per il cuore. Ed è più che chiaro che “Neuroteque” è un disco dall’animo tormentato, che sente – in continuazione – il bisogno di stravolgere quello che è appena diventato. Sta procedendo in maniera calma? E scoppia in strumentali nervosi. È inquieto? E da lì a pochi secondi vi ritroverete a frenare, la musica si calmerà, ma solo per poter ri-scoppiare pochi secondi dopo. È quello che accade in Charade: un brano che – in altre occasioni, parlando di altri dischi – avrei potuto definire l’episodio migliore, ma che qui mi mette in difficoltà. Perché tutto l’album è di altissima qualità, e quindi scegliere il momento migliore sarebbe dannatamente complicato. Sappiate solo che a questo punto, i brividi sono tanti. E quindi applausi per i Juggernaut, ricordando – però – che siamo appena a metà dell’opera.
Titanismo riporta a galla altre sonorità cinematografiche accoppiandole con dettagli arabeggianti, facendo in modo che le sonorità prog dei primi minuti arrivino a destrutturarsi in piccolissimi pezzi tra lo sludge e il doom: suoni granitici, nel finale, non lentissimi ma sicuramente intensi e pesanti. Ci penserà Aracnival a far ripartire il disco: ci troviamo davanti nuovi isterismi ed iperattività, sequenze veloci e convulse, che non scocciano affatto: che a fare casino con le distorsioni sono buoni tutti, ma non è certo il caso dei Juggernaut. Il quartetto di Roma sa prendere i propri tempi, sa quando spingere e quando no, risultando sempre convincenti e a proprio agio: un gruppo metal che non ha bisogno di essere precisamente metal, per affascinare. E la finale Orbitalia ne è l’esempio lampante.
Neuroteque è – in conclusione – un disco che non deve assolutamente mancare se volete che la vostra collezione di dischi possa essere definita “di tutto rispetto”.