Maledetta Dopamina: divertimento per due batterie e un basso. È come stare su di un ring, durante un incontro di pugilato “particolare”. Nell’angolo destro, un batterista, Luca; nell’angolo di fronte, l’altro batterista, un altro Luca; e al centro – come arbitro – il bassista (Lorenzo) che, invece di controllare e regolarizzare i due contendenti, a turno dà e riceve schiaffi, pugni, calci, colpi di rullante e di percussioni, rispondendo a colpi di basso distorto.
La ricetta è semplice ed efficace: riff distorti, pattern di batteria come tappeti su cui cadere dopo mille fatiche e mille attacchi. Questo si avverte già nell’iniziale Brotos, in cui l’ascoltatore si divincolerà in decine di stop’n’go e migliaia di ripetitività: passando dallo stoner al doom, dai Royal Blood strumentali agli Zeus!. Nella seguente Toro Sedato (applauso già solo per il titolo) il basso rimbalza da uno spigolo all’altro, donando al pezzo quel sapore math rock, e poi si fissa su un riff che facilmente ti entra nella testa ma che altrettanto facilmente degenera nel rumore più sporco e cattivo. Si ferma, si riparte e si scivola in un intermezzo post-rock, con tanto di violini e viole dell’ospite/produttore Nicola Manzan (devo dire proprio Bologna Violenta? Ce n’è bisogno?).
Prima ho nominato gli Zeus e beh, fate partire Messa a Terra e parliamone. Tutto ricorda una sorta di versione “acerba” del duo Cavina/Mongardi: è vero il trio milanese deve ancora crescere, ma il terreno su cui questi dovranno crescere è di quelli buoni, e sono sicuro che le cose miglioreranno sempre più col tempo. Basso e batterie si districano bene, non perdono mai potenza, e trascinano chi sta ascoltando. Preludio è una miccia pseudo-elettronica che porta a Fuga, uno degli episodi migliori del disco: qui, in poco più di due minuti, ci ritroveremo davanti ad un plotone d’esecuzione con i fucili carichi di pallottole distorte. Hai due minuti per fumarti l’ultima sigaretta, tiro dopo tiro, colpo di batteria dopo colpo di batteria, e poi bang, game over. Ma ti rendi conto che ti hanno sparato solo proiettili giocattolo e sei ancora lì, vivo e frastornato, mentre Putamen continua il lavoro, scuotendoti sempre di più. Punk, stoner, mathcore, drum’n’bass, sludge, un cowbell della madonna: tutti elementi per farti tremare dal piacere. Stessa ricetta della successiva Acta Est Fabula. Martellante, pesante, affascinante. Altro punto alto del disco, che ci accompagna con la violenza necessaria all’ultimo appuntamento, ai Titoli di coda. È la quiete dopo la tempesta, le batterie si agitano, ma il basso rimane calmo, sognante, al limite del dreamy che anche quando si distorce rimane leggero, comein “T.P.” dei Wolfango.
Come primo lavoro non c’è male, spero di sentire altro, in cui di sicuro la qualità sarà maggiore. Per ora, questo è un disco di cui godere senza troppi pensieri.